domenica 23 novembre 2014

I supplì di Amalia... per festeggiare un po'...


I SUPPLI’
Mia moglie, Marzia, compie gli anni come tutti una volta all’anno, un giorno: il suo compleanno. I festeggiamenti dell’evento invece vanno da alcuni giorni prima a svariati giorni dopo. Preciso: alcuni sta per almeno 10 e svariati per circa 20. In pratica è l’unica persona al mondo che per un mese festeggia il suo compleanno. Si potrebbero fare paragoni ben posti con il Bianconiglio ed il suo “Non Compleanno” (e chi non conosce la favola, … il problema è suo), anche se Marzia la vedrei più vicina alla “Regina di Cuori”.

Comunque la serata di chiusura dei festeggiamenti è stata costruita attorno ad un aperitivo. Quindi: olive, crostini, patatine sia nel cestino, sia con ai piedi un tacco 12 (cm) (richiedo ufficialmente di non essere censurato), ecc……… le altre cose anche se decisamente buone e particolari le ometto. Vorrei concentrare l’attenzione su di un fritto: i supplì (sperando che il nome sia giusto).
Per fare questa delizia serve come prima cosa il riso: anche se quest’ultimo non viene cotto alla maniera di un risotto, consiglio comunque un Vialone Nano della bassa veronese. 

Altro ingrediente fondamentale è lo stomaco del pollo o al secolo “ i durelli” e qualche fegatino sempre di pollo. Il resto di solito si trova in ogni dispensa che si rispetti.

Per prima cosa bisogna fare un sugo non troppo concentrato, deve essere ben cotto ma non troppo e mantenersi liquido, ma non troppo (tipo: mi raccomando, va piano ma fa presto), leggasi bisogna andare un po’ ad istinto. Per il sugo: un soffritto classico: cipolla bianca (non avere paura di eccedere), sedano, carota, mantenendo un equilibrio quasi equipollente, preponderante comunque nei confronti della cipolla. Uno spicchio d’aglio incamiciato, leggermente schiacciato usando un coltello con la lama “di piatto”, quindi non dalla parte tagliente.
Quando il soffritto è pronto, unire i durelli e qualche fegatino tagliati entrambe al coltello. Ora se si pensa di tagliare i durelli nel tempo in cui soffriggono le verdure è decisamente un errore, la cosa richiede molto più tempo e soprattutto la pazienza di Giobbe. Ad ogni buon conto bisogna farlo, quindi organizzarsi. Aggiungere i durelli ed i fegatini, unire un buon bicchiere di vino, io ho unito un “Ribolla Gialla”, lasciare sfumare il vino; aggiungere, un ramo di rosmarino, pepe, sale alla bisogna, una buona manciata di origano e timo. A questo punto unire la passata di pomodoro e qualche pelato schiacciato con la forchetta. Cuocere.

Ora, in questa ricetta si una: “un po’”, “una manciata” ed altri termini che definirei imprecisi; ricordare: tutto si sorregge su “va piano ma fa presto”.
Mancano i termini temporali della cosa: per mangiare i supplì domani il sugo va fatto oggi e se lo stesso giorno viene fatto anche il riso, ancora meglio. Un riso semplice, bollito in acqua salata; quando a cottura (al dente), scolato e raffreddato sotto acqua corrente fredda. A questo punto il riso va miscelato con dell’uovo sbattuto, per avere un termine 350 gr di riso per ogni uovo sbattuto, aggiungere quindi una dose abbondante di Parmigiano Reggiano. Se e solo se il sugo è freddo unirlo al riso, mescolare, mescolare, mescolare…. Mettere in frigo.


Il giorno dopo: fare degli ovetti che stiano dentro le due mani chiuse a cucchiaio, mani diverse cucchiai diversi. Passare gli anzidetti ovetti nel pane grattato, assolutamente non comprato, grattugiato come nel secolo scorso (leggasi quasi 15 anni fa), finalmente friggerli in abbondante olio, scolarli su carta assorbente, riporli in un piatto da portata e salarli. 





Ora mangiarli.
Come aperitivo è stato un po’ laborioso, ma serate come quella valgono molto e fidatevi annullano molti dolori, ovviamente esclusivamente materiali. Grazie a Dio io ho solo quelli.
PS: tutto ciò non sarebbe stato possibile se mia madre, Amalia, non mi avesse dato consigli. Sottolineo che anche se i decisamente tanti supplì, prodotti per l’aperitivo, hanno avuto vita molto corta viste le fauci dei commensali, il gusto dei supplì stessi, miei, non ha paragone alcuno con quelli fatti da mia madre; non fraintendere: non detto mia MAMMA.

Importante: mia madre ha fatto le “olive” di riso, le ha impanate e le ha fritte. Io ho fatto il riso, ho fatto il sugo, mentre lo facevo ho bevuto mezza bottiglia di Lagrein riserva, ma soprattutto ho mangiato i supplì con i miei amici, di martedì, all'aperitivo, l’ultimo giorno di festeggiamento del compleanno di mia moglie.  Guido

Bene ora arrivo io. Marzia... cioè la festeggiata... che ovviamente ha pensato solo a mangiare, bere ma soprattutto a ballare...... per tutta le sera... sono stata veramente felice.... grazie a tutti!

RISOTTO ALL'AMARONE

Risotto all'Amarone


Ieri sera una serata molto speciale... un bellissimo momento in famiglia dove ovviamente ha cucinato Guido ma visto che era la mia serata mi sono fatta il mio risotto preferito... non piace a tutti perché ha un gusto molto deciso ma io ci vado pazza... soprattutto a farlo anche perché è fondamentale che il vino sia buono e non sempre si capisce al primo sorseggio....ma quanto bello è .....cucinare con un ottimo bicchiere di vino rosso di accompagnamento .. purtroppo io non sono così precisa come Guido infatti spesso mi perdo in altre cose... se poi c'è la musica di mezzo non resisto, per cui i miei piatti non sono proprio perfetti perfetti...
 per circa 8 persone:
 Tagliare finemente 2 scalogni; porla nel tegame con bordi medi con olio o burro ( io preferisco l'olio di oliva) e far andare a fuoco leggero per circa 3 minuti.




Alzare quindi un po' il fuoco, versare il riso ( 2 pugnetti di riso per persona) e farlo tostare continuando a mescolare.

A questo punto versare l'Amarone piano piano e farlo evaporare; poi cominciare ad aggiungere il brodo bollente e portare a cottura versandolo con continuità senza mai smettere di girare ( ... io purtroppo intramezzo con qualche balletto).

Il riso se è Vialone Nano, cuoce in 15 minuti. Spegnere il fuoco, aggiustare di sale e servire dopo 2 minuti.


martedì 18 novembre 2014

CONIGLIO AGLI 8 SAPORI


CONIGLIO AGLI 8 SAPORI

Visto in televisione e da me rivisitato (o meglio ciò che sono riuscito a ricordare)



Questa sera tornavo dal lavoro: autostrada, traffico, fenomeni di vario genere su quattro ruote, ecc… Ascolto distrattamente un programma radiofonico su Radio24, sento una persona che parla di mangiare vegetariano: un vegano……….. Bene questa sera finisco il coniglio agli otto sapori che ho fatto domenica mattina!

Si prende un coniglio, se non si è pratici fatevelo fare a pezzi, non grandi, fatevi dare la testa ed il fegato, daranno maggiormente gusto al piatto. Per quelli che hanno dimestichezza con le lame una volta preso il coniglio (dal macellaio intendo) incidere dal torace al ventre, eliminare le interiora mantenendo: fegato e cuore (solitamente il coniglio è pre-pulito, privo quindi di budella e parti molli in genere). Con un coltello simile ad una scure tagliare le ossa lungo la spina dorsale al fine di ottenere due metà molto simili, solo che una ha la parte portante della spina dorsale. Staccare la testa e riporla in un recipiente. Prendere una metà del coniglio, con un coltello affilato incidere nel punto di snodo l’arto inferiore (a livello dell’anca), a questo punto un colpo secco e si stacca, ora incidere il costato (perpendicolarmente alla spina dorsale) ad intervallo di tre costole (comunque a piacimento), prendere il coltello simile alla scure usato poc’anzi e staccare i pezzi incisi. Effettuare nel punto di snodo dell’arto anteriore ciò che è stato compiuto per quello posteriore. Ripetere la procedura per l’altra metà del coniglio.


Ora, se avete la sfortuna di abitare in città potete marinare per due/tre ore i pezzi di coniglio riponendoli in una terrina ampia usando 250 cc (per i non meccanici centimetri cubici, a voi il rapporto con i centilitri valutando quindi il peso specifico; usate tranquillamente 280 cl, ops, centilitri) di vino bianco, se avete un Ribolla Gialla voto a favore, altrimenti usate un vino comunque secco. Aggiungete altrettanta acqua e mezza tazzina di aceto, coprite e riponete in frigo. Se invece avete la fortuna di abitare in campagna, l’operazione deve essere invece fatta almeno 12 ore prima, magari abbondando con il vino, anzi senza magari, ma i “campagnoli” questo già lo sanno. A questo punto, indipendentemente dalla residenza il coniglio è marinato. Bisogna procurarsi a questo punto: uno spicchio d’aglio, due rametti di rosmarino, 6 pomodori secchi, due cucchiaini di capperi, olive taggiasche mi pare 15, timo in foglia, 8 noci ed una generosa quantità di origano.
Io in casa avevo casualmente: le olive di Arma di Taggia, l’origano di Maglie, i pomodori Salentini, le noci dell’albero dello zio, i capperi di Pantelleria ed anche se il rosmarino era del mio giardino il coniglio è venuto bene.
Prendete tutti i sapori tranne il timo e tritateli esclusivamente al coltello, ripeto per chi abita in città in un attico, gli anzidetti sapori sono: aglio, rosmarino, olive, pomodori secchi, capperi e noci. Aggiungete un po’ di sale, un po’ di pepe macinato al momento ed un peperoncino (io in casa ho quello di Soverato, se siete nell’attico usate tranquillamente quello in barattolo). Prendere il coniglio, scolandolo, riporlo in una casseruola con olio, un po’ più di una rosolatura, ma sicuramente non fritto; operate a fuoco allegro. Assicuratevi di aver raggiunto una buona “rosolatura”, anche se improprio. A questo punto prelevare il coniglio, eliminare l’olio di cottura pieno d’impurità e riponete nella medesima casseruola il coniglio rosolato aggiungendo un po’ d’olio nuovo (non abbiate paura , anche se invece di quattro cucchiai sono cinque non è un problema). Aggiungere il trito di aromi, attendere che tutto sia in temperatura, mettere il fegato tritato al coltello ed un buon bicchiere della Ribolla Gialla di prima; fiamma affinchè il vino evapori (purtroppo), ora aggiungere mezzo bicchiere di acqua, coprire  e cuocere per un’ora. Per la cronaca il coniglio che ho cotto pesava dal macellaio 1.7 kg, regolarsi.






Io ho proposto di contorno una purea di patate, dei crostoni di pane toscano e polenta veneta abbrustolita.


sabato 15 novembre 2014

MOECHE FRITTE

MOECHE FRITTE

Martedì sera Marzia ha invitato parecchie persone per un aperitivo; di solito si dovrebbe bere un bicchiere in compagnia mentre si stuzzica lo stomaco con un’oliva, un crostino, qualche patatina.

Marzia no, oltre all’oliva, al crostino ha deciso che bisognava stuzzicare gli stomaci dimostratisi in seguito decisamente capienti, con verdura in pinzimonio, crostini al baccalà mantecato, crostini con salsa alle acciughe, capperi e peperoni, acciughe in frattona, proseguendo poi con un fritto di seppioline, che precedeva un fritto di gamberoni. A questo punto non ci si poteva fermare e dopo aver bevuto due bottiglie di prosecco Extra Dry D.O.C.G. di Valdobbiadene, La Vecchia Cantina dell’amico “Luigino Benotto”, la prima di dimensioni normali la seconda magnum, abbiamo fatto l’affondo: fritto di moeche, che si sarebbero sentite sole se non seguite da un fritto di calamari e da uno di canestrelli, il tutto annegato da una seconda bottiglia di magnum di prosecco e da una bottiglia di Kettmeir rosè, metodo classico dell’Alto Adige. 



Poi indecisi sul proseguo e soprattutto finito ogni tipo di pesce, molluschi o crostacei che siano stati siamo passati alla finocchiona con pane toscano portati da Nicola direttamente da Firenze, che sempre per i predetti problemi di solitudine sono stati degnamente accompagnati da due tipi di formaggio pecorino che avevano percorso la medesima tratta autostradale compiuta dalla finocchiona e dal pane toscano.

L’aperitivo lo definirei ben riuscito, però l’impianto stereo, seppur funzionante alla perfezione, non ha reso come volevamo, quindi abbiamo acquistato on line un Docker da 600W, per sentire un po’ più forte. Marzia per festeggiare ha intenzione di ripetere l’aperitivo, che per ovvi motivi dovrà essere migliore del precedente, altrimenti per cosa li facciamo, bisogna andare in crescere non in calare.
Due parole sulle moeche, prelibatezza esclusivamente della laguna veneziana.

Il sistema classico prevede che le moeche, che sono un tipo di granchi in fase di muta, quindi possono essere mangiati solo nei cambi di stagione, vengano messe in una bacinella, o bul per gli “sproti”, con un paio di uova leggermente sbattute; per regolarsi 500 gr. di moeche che sono circa una ventina, con due uova. A bacinella coperta, mettere la bacinella stessa in frigo per qualche ora, lo scopo è che le moeche mangino l’uovo sbattuto fino ad esserne piene, perciò più rimangono in frigo e più mangiano, regolarsi. Ciò fatto vengono fritte in modo tradizionale, quindi infarinate e messe direttamente nell’olio bollente.





Noi abbiamo applicato il sistema sbrigativo, o meglio abbiamo fritto senza la fase “uovo sbattuto”, lo scopo è stato quello di sentire maggiormente il gusto del crostaceo. Per friggere più croccante, prima d’infarinare, bagnare il pesce nella birra fredda, o nell’acqua gassata fredda, oppure se siete dei puristi usare acqua naturale fredda; il messaggio è basta che sia fredda. Non serve poi asciugare meticolosamente il pesce da friggere, basta che perda il liquido in eccesso prima di andare nella farina. Fare attenzione che l’olio sia caldo e soprattutto attenzione a non mettere troppo cose a friggere, raffredderebbero l’olio stesso, affondando per poi riemergere solo in seguito; in questa fase assorbirebbero molto olio per poi risultare “unte” e mollicce.


giovedì 6 novembre 2014

TORTA CON LE PATATE DOLCI - LA MIAZZA

LA TORTA..... PIU' BUONA CHE CI SIA .... LA MIAZZA... PER ME.


Questa è una ricetta della mamma di un mio amico ed è il mio dolce preferito... perchè amo alla follia  le patate americane (dolci) l'uvetta e le mele........... bisogna ricordarsi che serve 1 giorno di riposo.

INGREDIENTI:
1 KG PATATE AMERICANE - DOLCI
2/3 MELE
PANE BISCOTTO 2/3 panetti
UVETTA
FICHI SECCHI
1 UOVO
LIMONE
ZUCCHERO q.b.

1 giorno
Lessare le patate e sbriciolarle subito calde,
Il pane biscotto bisogna farlo bollire con il latte e passarlo con lo schiacciapatate.
Aggiungere l'uvetta dopo averla messa in ammollo con un po' di acqua insieme ai fichi tagliati a pezzetti.
Tagliare a fette 2/3 mele ed aggiungerle all'impasto.
Unire il tutto e lasciare 1 giorno a riposo ( minimo 12 ore)




2 giorno
Sbattere con un po' di zucchero e lievito grattugiato 1 uovo ed inserirlo nell'impasto.
Aggiungere un po' di farina e mescolare bene, l'impasto deve restare molto morbido... se non lo fosse aggiungere un po' di latte.
Mettere il tutto in una teglia e spolverizzare con zucchero.
Forno a gradi 180 per circa 1 ora.... finché fa una crosta rossa....Melius abundare quam deficere.





fatela raffreddare..... e ed ora gustatevela in silenzio........!!... io vado....


mercoledì 5 novembre 2014

UOVO IN CAMICIA


UOVO IN CAMICIA - 05 NOVEMBRE 2014

... per inciso non cucina solo Guido.... lo lascio nel suo credo!!!!
Questa sera avanzi della domenica ed UOVO IN CAMICIA
Arek... non sa più cosa fare per farmi capire che ha fame tra un po' mangia me ma io devo scrivere.... .... la ricetta dell'uovo in camicia... e devo litigare con Guido.
Prendere una pentola , mettere parecchia acqua, portare quasi ad ebollizione, .... creare un piccolo vorticino ... nel senso di rotazione impresso dall'accelerazione di Coriolis ( chi non sa il senso riempie un lavandino, poi toglie il tappo e vede il senso di rotazione del vortice).



Mentre l'acqua sta ruotando si rompe l'uovo stando attenti che il tuorlo non si rompa.




3 minuti di orologio, cercando di mantenere lentamente  la rotazione dell'acqua ... e l'uovo è pronto.



Scolarlo dall'acqua con la chiumarola....impiattare con sopra 2 riccioli di burro, un pizzico di sale ed una generosa grattugiata di parmigiano. ..... i crostini di pane sono graditi....

 il tutto bagnato con un ottimo prosecco.

ed ora diamo da mangiare agli affamati!!! Marzia

domenica 2 novembre 2014

PORCHETTA DI GUIDO

LA PORCHETTA DI GUIDO



ORIGINI DELL’IDEA

Preambolo:
Sono sposato dal 2001, da allora tutti gli anni il giorno di Natale, in occasione del pranzo, io più un nutrito gruppo di persone, ci rechiamo presso la casa delle feste. Un casale rurale ristrutturato situato nella campagna del Polesine. La riunione comprende sia il ramo familiare di mia moglie sia il mio; in tutto una quindicina di persone. Per essere precisi per quanto riguarda la mia parentela, praticamente l’interezza, per quanto riguarda quella di mia moglie una piccola parte. In ogni caso questo gruppo si ritrova spesso e volentieri; data inoltre la frequenza degli incontri, non necessariamente alla casa delle feste. Ogni ricorrenza identificabile oramai come pretesto, è buona: battesimi, compleanni, fiera paesana, sabato, o altri avvenimenti di straordinaria importanza.

L’illuminazione:
Per motivi di lavoro sono a contatto costante con il mondo della conservazione e trasformazione degli alimenti. Realizzando vicino a Viterbo un laboratorio per la produzione di preparati per macelleria o come dicono loro, norcineria, ho assistito, tra le altre cose, a tutte le fasi inerenti al posizionamento e collaudo di un forno per porchetta. Da questa visione e sorta l’idea di creare una pietanza che potesse essere un secondo buono, sufficientemente sostanzioso, desueto per la nostra dieta, conviviale e che in parte potesse tener testa, anche se in maniera parziale, ai salami, ai cotechini e alle bondole (nome di un particolare insaccato di carne di maiale, originario di queste parti, che ha come impasto una via di mezzo tra i salami da taglio ed il cotechino) prodotti dallo zio di mia moglie. Questi ultimi ottenuti da un maiale scelto quando era un lattonzolo, fatto allevare da un contadino amico. Sottolineo il fatto che da queste parti, tradizionalmente, non si produce il prosciutto per via delle difficoltà della sua stagionatura, quindi tutta la carne pregiata serve a fare salami, cotechini, ecc…. Evito di parlare dell’abbinamento con il vino prodotto dal vigneto acquisito ultimamente dallo zio ottenuto seguendo tutte le fasi che vanno dalla vendemmia di gruppo in poi seguendo le regole decise quando si adorava Bacco, bevuto in occasione del pranzo dello scorso Natale.
Ritornando alla mia pietanza non si può definire una vera porchetta. Un maialino intero, seppur piccolo, sarebbe una quantità di carne eccessiva, che verrebbe alla fine sprecata; però le somiglia molto, sicuramente come gusto, colore e forma (ovviamente eliminando la testa). La prima volta che l’ho fatta e stato in occasione del battesimo di mia figlia, proponendola durante il rinfresco, che per propria natura ha bisogno di cibo che possa essere reperito direttamente dai commensali. Un successo: buona, bella ed inaspettata. Per l’esattezza erano inaspettati anche: il prosciutto di Parma particolare reperito da fonti altrettanto particolari (si veda il mio mestiere), i salami fatti dallo zio, le tartine create con una crosta di polenta ed un pezzetto di stoccafisso mantecato fatte dalla zia, ed altre cose del genere, molte cose del genere.

Io mi sono sposato direi tardino, senza saper fare nulla tranne il caffè. Dopo un periodo di qualche anno di alimentazione tramite dieta a base di stacchino, prosciutto crudo, insalata, le due mamme e svariati ristoranti in cui siamo chiamati per nome, serviti e riveriti; ho deciso di cominciare a cucinare. Ora cucino praticamente solo io: pranzo, cena e cene varie. Mi piace, mi diverto e mi rilasso; una delle parti che trovo più belle è andare a reperire gli alimenti giusti per ottenere i piatti che ho in mente. Diciamo che devo migliorare sulla gestione del pentolame vario, ma ritengo di essere sulla buona strada.
Concludo sperando che in poche righe io sia riuscito a trasmettere come, la mia famiglia o il gruppo di cui faccio parte, viva e goda nel trovarsi a tavola, sia che ci sia la porchetta sia che non ci sia.

LA CASA DELLE FESTE




Io alla casa delle feste


RICETTA: porchetta di Guido
15 persone

-       Pancetta di maiale fresca, non arrotolata (circa un “foglio” quadrato di 30 cm per 30 cm con spessore solitamente di 6 o 7 centimetri) con la cotica, 3,5 kg
-       Magro di maiale, filetto 1,2 kg (deve essere di forma cilindrica con lunghezza pari alla dimensione della pancetta, in questo caso 30 cm)
-       Un pezzo di sola cotica della dimensione della pancetta (30 cm per 30 cm)
-       Aglio 3 spicchi tritati
-       Sale fino 5 cucchiaini
-       Pepe nero macinato 4 cucchiaini
-       Pepe bianco macinato un cucchiaino
-       Finocchietto macinato 10 cucchiaini
-       Rosmarino fresco un rametto tritato ed uno intero
-       Rosmarino secco macinato 2 cucchiaini
-       Scorza di un limone grattato (solo il giallo)
-       Alloro 5 foglie tritate

Inoltre:
-       Filo per legare gli insaccati che resista alla temperatura del forno
-       Ago tipo per materassi (deve essere sufficientemente grosso da poter essere usato con una mano, non solo con le dita, deve essere solido per forare la cotica)

Preparare una mistura ben amalgamata di aglio, sale, pepe nero, pepe bianco, finocchietto, rosmarino fresco tritato, rosmarino secco, scorza di limone ed alloro.



Prendere la pancetta e con un coltello a lama lunga praticare un taglio dividendo la parete di 6 centimetri (altezza) partendo da un lato del quadrato, arrivando fino al lato opposto (il risultato deve essere a livello visivo come un libro aperto nelle sue pagine centrali, fermarsi nel tagliare a qualche centimetro dalla “rilegatura” del libro ipotetico).














Con l’ago ed il filo per insaccati legare la cotica al lato esterno della pancetta, ovviamente quello senza cotica, lasciando la parte incisa sempre verso l’alto.
La cucitura deve avvenire solo nel lembo esterno.











Aprire a libro la pancetta e cospargervi sopra la mistura di spezie, ora riporre il filetto al centro di una delle metà dei lembi della pancetta.






Arrotolare tutto e legare stretto, facendo attenzione che la cotica cucita non si sposti, inserire sotto la legatura il rametto di rosmarino intero, a contatto con la carne viva.






Scaldare il forno a 180 ° C, riporre l’arrotolato ottenuto in una teglia e cuocere per 5 ore e mezza. A metà cottura girare su se stessa la porchetta.


Estrarre dal forno almeno 30 minuti prima di mangiare.







Si può sfruttare il grasso che ovviamente cola dalla carne per cuocere delle patate, in pratica basta prendere dalla teglia della carne del grasso sciolto e riporlo in una pirofila con delle patate tagliate a spicchi abbastanza grossi, mettere del rosmarino, dell’aglio e del sale grosso. Bisogna fare però attenzione nel prelevare il grasso: prendere solo quello limpido e non la parte scura e densa galleggiante. Mettere poi la pirofila in forno e cuocere per almeno un’ora rimescolando di tanto in tanto. Quando si estrarrà dal forno la porchetta lasciate comunque ancora nello stesso le patate, coprendole però con della carta stagnola, abbassando la temperatura o eventualmente spegnendo il forno.







Servite la porchetta affettata sopra un piatto e buon appetito.